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Ankara continua a nicchiare sulla libertà religiosa

24 Ιουλίου 2009

Ankara continua a nicchiare sulla libertà religiosa

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TURCHIA

Malgrado lo chieda l’Europa, Ankara continua a nicchiare sulla libertà religiosa

NAT da Polis

Il responsabile Ue per l’allargamento ha detto che il processo di adesione della Turchia passa anche attraverso la scuola di Halki, istituto di formazione del clero del Patriarcato ecumenico, chiuso dal 1971. Il governo tace, mentre cresce il dibattito sui media. La vera questione è il riconoscimento dello status del Patriarcato.

Istanbul (AsiaNews) – Continuano a trovare spazio sulla stampa turca, le voci sulla imminente riapertura della Scuola teologica di Halki (nella foto), dove si formavano i teologi e il clero del Patriarcato ecumenico, chiusa improvvisamente nel 1971, dopo più di 100 anni di attività. La questione ha ampia diffusione sui media, con l’intrecciarsi di opinioni a favore e contro la riapertura.

Tutto ha avuto inizio quando Oli Rehn, responsabile della UE per l’allargamento, e quindi del processo dell’adesione della Turchia alla UE, in un incontro con i giornalisti a Bruxelles, il 10 giugno scorso, ha dichiarato che tale processo passa anche dalla riapertura di Halki. Inoltre ha potrato a conoscenza della stampa, le preoccupazioni espresse a lui dalla Santa Sede sul livello di liberta religiosa esistente in Turchia.

A favore della riapertura si sono schierati autorevoli giornalisti, scrittori e professori, come Baskin Oran, Murat Belge, Ali Birant, Kanli e Orhan Kemal Cengiz. Quest’ultimo, dalle pagine di Today’s Zaman in un articolo intitolato “Il Patriarcato ecumenico sta aspettando Godot?” descrive, come mai prima d’ora, il vergognoso e persistente comportamento delle autorità turche, mirato a perseguitare sino alla totale estinzione il Patriarcato Ecumenico, usando anche sottili metodi legislativi e arriva addirittura al punto di accusare il Patriarcato, perché, secondo lui, si è mosso con ritardo nel ricorrere nella corte di Strasburgo ed è reo di fidarsi troppo delle periodiche promesse fatte dalle autorità turche.

Voci contrarie alla riapertura di Halki si sono levate, invece, dall’Associazione degli avvocati di Istanbul, un’istituzione molto importante, durante un convegno da essa organizzato dopo (un caso?) le dichiarazioni di Rehn. Le parole usate contro la riapertura e contro il Patriarcato sono state addirittura poco garbate. Si è contestato innanzi tutto lo stato giuridico del Patriarcato e di conseguenza il suo diritto ad avere una scuola teologica. Il presidente dell’associazione, Muammer Aydin, ha accusato il Fanar di disprezzare la Turchia e di mirare a costituire il Vaticano dell’ Est, mentre una docente dell’Università di Marmara, Sibel Ozel, dopo aver elencato un elenco di normative le quali, giustamente secondo lei, non permettono nè il riconoscimento del Patriarcato, nè la riapertura di Halki – che, sempre secondo lei, è stata giustamente chiusa – ha concluso affermando che “nessuno può imporci la riapertura di Halki”.

Il governo turco, da parte sua, si è espresso una prima volta per bocca di Erdogan, il quale, a margine del recente vertice del G8 ampliato ai Paesi emergenti, rispondendo alle domande dei giornalisti su Halki, ha detto di non aver ricevuto sulla questione alcuna richiesta da parte dei diretti interessati, cioe il Patriarcato di Costantinopoli.

Ma per capire le vere intenzioni delle autorità turche, indipendentemente da che tipo di governo si trovi al potere, sono importanti le dichiarazioni del ministro Egemen Bagis, responsabile dei rapporti Turchia–UE, il quale ha dichiarato l’altro ieri: “la riapertura di Halki è una questione interna della Turchia”, ovverosia tra i suoi cittadini. Una soluzione, secondo Bagis, va trovata nel contesto della reciprocità con i diritti dei mussulmani (140.000 circa), che vivono nel nordest della Grecia, perché, sebbene cittadini greci, sono secondo Ankara tutti di etnia turca.

“Insomma la solita storia”, commenta un anziano docente di storia, greco di Istanbul, Dimitri G., uno degli ultimi dell’ormai sparuta comunità ortodossa della città. “Ogni volta che si pone, durante la visita di capi di Stato ad Ankara, non ultima quella di Obama, la questione di Halki, Ankara, cogliendo impreparati gli interlocutori, pone la questione della reciprocità con la comunità mussulmana in Grecia, e cosi si sorvola su tutto”. “Ma di quale reciprocità si parla?” continua Dimitri G. “In Grecia esiste una comunità di cittadini greci di religione mussulmana di circa 140mila persone, di varia origine etnica: turca, pomaca (slavi convertiti all’ islam) e zingari, che sono in piena fioritura, con moschee e clero, scuole coraniche e attività culturali, secondo i dettami della libertà religiosa. Il tutto finanziato dallo Stato greco e anche dalla UE, perché sono cittadini di uno Stato membro della UE. Ed è giusto così. In Turchia, al contrario, in seguito alle sistematiche epurazioni degli anni passati, da 100mila anime che esistevano nel 1923 – che secondo il trattato di Losana dovevano equipararsi alla minoranza mussulmana della Tracia greca, proprio per il principio di reciprocità numerica, voluto e imposto dalle stesse autorità turche – ci siamo ridotte a malapena a 3mila. Al Patriarcato Ecumenico non è mai stato riconosciuto il suo status storico e deve procurarsi i fondi per proprio conto. I muftì in Grecia sono pubblici impiegati. E, ripeto, è giusto. Pertanto qualsiasi invocazione della reciprocità da parte turca è improponibile, perché sono loro che l’hanno volutamente e sistematicamente calpestata”.

Padre Dositheos, responsabile rapporti esterni del Patriarcato ecumenico, cittadino tedesco, ma greco di Costantinopoli, persona molto stimata negli ambienti internazionali per la sua perspicacia, ha detto in proposito ad AsiaNews: “con tutta questa bagarre che s’è creata sui media attorno all’eventuale riapertura di Halki – magistralmente impostata come al solito si fa con i media in Turchia – c’è il rischio di offuscare l’essenza della questione di fondo, che è molto piu importante. Cioè quella dello status del Patriarcato Ecumenico. Per quanto riguarda Halki, la soluzione è semplicissima: ritornare allo status che c’era sino al 1971. Spetta alle autorità ripristinarla”. Quanto poi alle dichiarazioni del Primo ministro Erdogan di non aver ricevuto alcuna richiesta da parte dei diretti interessati padre Dositheos ha riferito che il patriarca Bartolomeo in occasione delle visite di cortesia compiute nel 2007 sia al presidente Gul che alle altre autorità turche, ha posto certamente tutte le questioni, compresa quella di Halki, e loro “hanno semplicemente detto di aver preso atto..”.

 
http://www.asianews.it/index.php?l=en&art=15859&size=A